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Alalà: la vera storia della E554 nel fiume Tanaro https://forum.duegieditrice.it/viewtopic.php?f=20&t=1773 |
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Autore: | TaigaTrommel [ giovedì 2 marzo 2006, 21:58 ] |
Oggetto del messaggio: | Alalà: la vera storia della E554 nel fiume Tanaro |
L'amico Alalà mi ha fatto roccabolescamente avere copia della sua ultima fatica. Come si dice, riceviamo e volentieri pubblichiamo ![]() Mi sono chiesto se fosse il caso di aggiungere un intervento al tema "racconti ferroviari" o a quello della 554 finita nel fiume. Però ho pensato che un sì fastoso ritorno meritasse uno spazio tutto per sè! Camerati! Affiora di tanto in tanto, dai recessi reconditi della Memoria, il mito d’una locomotiva elettrica che nell’alveo del fiume Tanaro trovò imperituro sepolcro. Camerati! Sappiate, ch’il mito risponde a verità! Giunta è ormaj l’ora fatale che mano ardita strappi per sempre il sudario che, metaforiamente, quel sepolcro avvolge: a me dunque l’onore, e soprattutto l’onere. Ultime fasi della seconda guerra mondiale. Ad est i tedeschi continuavan ad indietreggiare, contrastati dalla crescente capacità offensiva dell'Armata Rossa. Mentre la Battaglia di Kursk del luglio 1943 non fu una soverchiante vittoria per i sovietici, questa privò seriamente l'arsenale germanico della disponibilità di veicoli corazzati, ed i tedeschi non furono in grado di lanciare altre serie offensive sul Fronte Orientale. Al momento dello sbarco in Normandia, il 6 giugno 1944, le forze tedesche erano disperse su tre fronti. In agosto le forze sovietiche entrarono nella Germania orientale; le forze alleate attraversarono il Reno un mese dopo. Nel dicembre 1944 un ultimo disperato sforzo di assestare un colpo decisivo alle forze alleate (l'offensiva delle Ardenne) si interruppe bruscamente a causa della mancanza di carburante e rifornimenti. All'inizio del 1945 il regime iniziò a disintegrarsi. Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa libera il campo di concentramento di Auschwitz. Il Führer, vacillando finalmente l’illusoria convizione nella vittoria finale, risolve di mettere in salvo, quantomeno, il favoloso tesoro accumulato in quegli anni torbidi. Ma dove? - Duce, confèrmasi ingresso treno blindato germanico sul sacro suolo Italiano. Stop – Questo il laconico dispaccio telegrafico che il Pavanati pose, alle ore 6 del mattino, sul capezzale del Duce dormiente nella Sua stanza in Villa delle Orsoline, a Salò. - Uè, ma ti pare questo il modo di svegliarmi, boja d’un mond leder ? Manco fosse in arrivo il tesoro di quel pallone gonfiato! – - Con tutto il rispetto, Eccellenza, proprio d’esso pare trattarsi. Va detto, ad oner del vero, che i rapporti tra i due governanti s’eran da tempo irreparabilmente deteriorati. Non mancava, il Duce, d’appellare il Führer col summenzionato assai poco simpatico, ancorchè efficace titoletto; mentr’il tedesco gratificava il Nostro coll’appellativo, assai più sottile, di “bagnasciuga”. Non parse vero, quindi, al Duce, di poter cogliere un’opportunità tanto seducente quanto inaspettata. - Pavanati! Quanto è rimasto nelle casse della Repubblica? - Ahimè non molto, Eccellenza: più o meno, lire quindicimila. - Cos’aspettiamo, allora? A noi! Raduna i manipoli: seguiamo discretamente quel treno e, nottetempo, prendiamone possesso! E’ in gioco l’avvenire d’Italia! A noi! Ore dodici d’un’oscura notte di marzo. Il blindato treno germanico che reca - ben celato - il tesoro del Führer, valicato il Brennero, passate Modena, Parma e Piacenza è oramai prossimo alla meta. Qual fosse la meta suddetta ci è del tutto ignoto: ciò che conta – e che non era sfuggito alla mente suprema del Duce – è che - penetrato il treno in terra Piemontese - la vaporiera teutonica, oramai a corto di carbone, era in procinto di cedere il passo ad una motrice elettrica Italiana appositamente requisita. - Pavanati! Hai pittato le svastiche come t’ho comandato? E’ giunta l’ora! A noi! Favoriti dallo scuro, i berretti da macchinista calati sugli occhi, chi mai avrebbe riconosciuto ne’ panni de’ ferrovieri il Duce in persona ed il più fidato de’ suoi Gerarchi? L’E554 dalla nera cassa e dal rosso telajo, colle svastiche pittate sui fianchi, agimente manovrò ponendosi alla testa del treno. In pochi istanti furon tesi i tenditori, allacciate le condotte pneumatiche, provati i freni: e via in perfetto silenzio, avvolti dalle brume padane. Orbene, vuoi per la veglia, vuoi per aver saltato cena, vuoi per la frescura marzolina, furon ben presto i due illustri Macchinisti colti da ciò che, al principio manifestatosi come languorino, si rivelò un robusto appetito. - Non son quelle le luci d’Alessandria, Eccellenza? Si dà il caso ch’io conosca un’osteria, proprio di fronte alla stazione, ove mai vien negato un tozzo di pane a’ viandanti, neppure a notte fonda. Ed essendo per di più il convoglio in anticipo d’una buona mezzora, dubbio alcuno non ebbe il Duce. Trionfalmente varcato il segnale di protezione, azionò il moderabile con pugno di ferro e guanto di velluto, arrestando il locomotore, e con esso il treno blindato, esattamente di fronte al fabbricato viaggiatori. Un minuto più tardi i due Macchinisti, celati da’ loro berretti agli sguardi indiscreti, assisi ad un tavolo della stamberga si rifocillavan con una frugale – ma sostanziosa – cenetta composta d’una minestrina di pasta, fagioli e cotiche seguita da bolliti misti con salse assortite e dalla rituale “bagna cauda” - che mai può mancare dal desco Savojardo. Stese alfin le gambe sotto alla tavola in atto di rilassatezza, osservò il Duce: - C’avevi ragione, Pavanati! S’è mangiato assai bene – ma senza abboffarci, dato che s’ha da condurre sino a Genova, ove ci aspetta un vapore pelle Colonie. Ma … lo senti anche te, sto’ rumore? Par proprio un trifase che s’avvia! Ed infatti l’udito finissimo del Duce aveva colto nel segno. Tese nello sforzo supremo le bielle dell’E554 mulinavan sempre più frenetiche, mentr’il treno blindato acquisiva sempre più veemenza sfilando dinanz’agl’occhi de’ Nostri, prontamente accorsi sulla banchina ma ora attoniti, impotenti. A bruciare non fu tanto l’onta del tesoro sottratto quanto il ghigno beffardo, inconfondibile, del figuro che sporgevasi impudente dal finestrino della gabina di guida. Mentre s’allontanava pose egli – con scherno - il palmo della destra nell’incavo del gomito sinistro cavandone uno schiocco malvagio ed urlò con quanto fiato aveva in corpo: - T’ho fregato anche stavolta! A morte il fascio, evviva Bàkunin e la libertà! Ma, camerati, sappiate che c’è sempre una Giustizia suprema. Colto com’era dal delirio di grandezza, scordò l’anarchico Mengozzi (perchè proprio di lui trattàvasi) ogni norma d’elementare prudenza. Non era forse pericolante il ponte sul Tanaro? Non era forse un segnale di rallentamento posto a segnalarlo? Come se niente fosse, intonando l’internazionale, lasciò quel folle che il treno corresse verso la morte, a tutta manetta. E fu così fortunato d’esser sbalzato fuor dalla cabina, salvandosi la ghirba, mentr’il locomotore, precipitato, s’inabissava, e le nere acque del Tanaro sopra di esso, infine, si richiudevano. |
Autore: | carletto [ venerdì 3 marzo 2006, 0:28 ] |
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Grandissimo! |
Autore: | adria express [ venerdì 3 marzo 2006, 9:03 ] |
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Pregherei S.E. Taiga di far pervenire all'Autore i sensi del nostro più vivo compiacimento. Vincere! |
Autore: | Bernina Express [ venerdì 3 marzo 2006, 9:04 ] |
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sembra quasi "LA LOCOMOTIVA" di F.GUCCINI |
Autore: | Bernina Express [ venerdì 3 marzo 2006, 9:07 ] |
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Un po' rifatta ma si avvicina molto. |
Autore: | posto di blocco [ venerdì 3 marzo 2006, 12:28 ] |
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Bella... Sara' davvero il sommo Alalà autore di cotanto ardito poemetto??? Dubbiosi saluti. ![]() ![]() ![]() |
Autore: | TaigaTrommel [ venerdì 3 marzo 2006, 14:34 ] |
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Penso che in tempi (relativamente) brevi sarà Manrico stesso a fugare i dubbi. |
Autore: | Lucio FAV [ sabato 11 marzo 2006, 19:39 ] |
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Grande ! Alalà ci regala sempre delle primizie piacevolissime. Grazie di scrivere ! |
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