C’era una volta il treno. No, non il Frecciarossa 1000 o il Thalis, che ci sono ancora ma hanno il - appeal di un elettrodomestico ecocompatibile. No: c’era una volta il treno vero, quello a vapore, il mostro corusco e fumido con in testa la locomotiva che vomita fumo, ansima e geme come un nero immenso animale, che si annuncia da lontano con un fischio acuto oppure un rauco ululato, passa rombando sui binari e scompare in un lampo lasciandosi dietro nugoli biancastri dall’odore acre e penetrante. Il treno su cui sembrava sempre di andare molto lontano, seduti su panche di legno, cullati dal ritmico tlan tlan delle ruote delle carrozze Centoporte ogni 36 metri di rotaia. Quel treno, che noi vecchi abbiamo fatto in tempo a conoscere, era ancora molto simile al suo progenitore che nell’Ottocento aveva cambiato il mondo mettendolo in moto. Per millenni e millenni, prima dell’arrivo della ferrovia, la velocità dell’uomo era stata sempre commisurata al suo passo, o al massimo al galoppo dei cavalli. Le ruote dei veicoli a trazione animale rotolavano pigramente lungo le vie consolari romane, le distanze si misuravano in migliaia di passi (milia passum, da cui miglio) e per coprirle ci volevano mesi. Poi, improvvisamente, tutto cambia: la macchina a vapore fa la rivoluzione industriale e inventa il treno, che fa muovere sempre più di fretta persone e cose da un capo all’altro del Pianeta. Fra tutte le novità introdotte nell’Ottocento, la ferrovia è forse quella che maggiormente ha contribuito a cambiare il modo di vivere e di pensare delle persone e di conseguenza più profondamente ha colpito l’immaginario universale. Ancor più che dal mitico e lontano Orient Express, la fascinazione viene alimentata dall’improvviso irrompere della ferrovia nella quotidianità. Il treno è democratico: è diverso - è vero - sedersi su panche di legno o poltrone di velluto, ma si parte e si arriva tutti insieme e si viaggia alla stessa velocità, il che fa meno differenza che non fra chi è condannato a consumarsi le suole delle scarpe e chi viaggia a cavallo o in carrozza. Prima dell’arrivo della Seicento, ovvero fino all’altro ieri, ci si muove col treno (l’automobile è una cosa da signori). Si sale per la prima volta su un treno magari per andare a combattere una guerra, ma più spesso - per fortuna - è per andare in vacanza, e di quei viaggi si conserva un ricordo avventuroso e indelebile, più concreto della sbiadita foto in bianco e nero che ci ritrae affacciati al finestrino di una Corbellini o di una Littorina color isabella. Il fascino del treno è svanito con la scomparsa delle locomotive a vapore, condannate all’estinzione dalle tappe successive di quel medesimo “progresso” che avevano tumultuosamente inaugurato. Gli storici di ultima generazione fanno risalire proprio all’invenzione della macchina a vapore l’inizio dell’antropocene, la presente era geologica, segnata dal nefasto impatto delle attività umane sul Pianeta. Fra le innumerevoli applicazioni della scoperta di Thomas Newcomen e James Watt, la ferrovia è forse tra le meno colpevoli del disastro ambientale col quale dobbiamo attualmente confrontarci, perché ha saputo evolversi fino a rappresentare oggi il sistema di trasporto più ecologico. Consentiteci quindi di rimpiangere il fascino delle locomotive a vapore, meravigliose macchine capaci di trasmetterci attraverso tutti i nostri sensi le stesse emozioni che ritroviamo al cospetto dei vecchi trenini giocattolo: dal sentore di grasso e di carbone al movimento delle bielle che suggerisce una muscolare immagine di potenza, dall’untuosità del nerofumo al calore che si sprigiona dalla caldaia in pressione fino alla straordinaria sinfonia di sbuffi, scoppi, sibili e cigolii che accompagna il sordo stantuffare dei cilindri…
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