Saranno ormai quarant'anni che a fasi alterne si parla della chiusura della linea ferroviaria tra Novara e Varallo, e se non proprio da Novara almeno da Romagnano, punto di incrocio tra la nostra linea con la Arona-Santhià, anch'essa ormai dismessa. Da qui fino a Varallo il traffico ferroviario è proprio scarso, con abbondanti interruzioni nel periodo estivo, e noiosamente rappresentato dalle sole Aln 668, anche se l'armamento è stato rinnovato pochi anni or sono, ed è in buone condizioni.
Non era così quando la ferrovia venne concepita, anche se il parto fu sicuramente molto travagliato; ma anche se, travolta dal trasporto su gomma la linea dovesse essere fatalmente soppressa, rimarranno i benefici che la ferrovia ha prodotto, trasformando una serie di modeste e faticose attività artigianale in una realtà industriale di solide basi, e rimarranno i ricordi legati ad eventi lieti e tristi che il trasporto su ferro ha generato.
Ma facciamo il solito passo indietro; per comprendere l'importanza che la ferrovia ha rappresentato per la Valsesia occorre aprire una finestra sulla situazione dei trasporti in periodo post-unitario. Sino ad allora il traffico passeggeri era affidato alle diligenze, trainate da due o al massimo quattro cavalli e capaci di trasportare sino a dieci passeggeri; da Varallo, per raggiungere Novara o Vercelli occorrevano almeno sei ore, strade e condizioni climatiche permettendolo, e chi doveva viaggiare, per beneficiare delle coincidenze ferroviarie, occorreva partire da Varallo attorno alla mezzanotte e farsi sballottare per tutti i cinquantacinque chilometri di strada. La Posta poi, viaggiava in compagnia del postiglione, a cassetta. Molto faticoso era comunque anche il trasporto delle merci, con lunghe teorie di carri di ogni foggia, sempre trainati da cavalli; tale sistema non consentiva comunque di raggiungere elevati volumi di tonnelleggio, con il conseguente condizionamento dello sviluppo industriale della Valsesia, che pure sarebbe stato favorito dalla facilità di ottenere forza motrice di derivazione idraulica per il movimento dei macchinari, rivoluzionando la stentata economia montana.
Da questo si comprende come il sogno di una ferrovia che congiungesse la valle al resto del mondo rappresentasse un naturale desiderio di progresso. Tra i primi ad occuparsi seriamente del problema troviamo Giuseppe Antonini, laureato in ingegneria, colto, di famiglia molto ricca, che già nel 1856 pubblicava un volumetto in cui introduceva l'argomento del congiungimento ferroviario della Valsesia; ciò produsse l'interessamento di alcuni banchieri, di alcuni deputati del Parlamento Subalpino e numerosi potenziali industriali e quindi l'incarico, retribuito, allo stesso Antonini di redigere un progetto. Nel 1863 fu coinvolto l'ingegner Giulio Axerio, pure lui valsesiano e grande conoscitore di problemi ferroviari. Nel 1870 il Municipio di Varallo si costituiva in Comitato Promotore per cercare di appianare le inevitabili dispute di campanile sulle varianti di tracciato che fioccavano nel tentativo di accontentare tutti. A complicare le cose giunse anche l'ingegner Biglia che con un suo progetto proponeva una ferrovia a scartamento ridotto, facendo brillare il miraggio di facili risparmi. E tra leggi del Parlamento Italiano per la costruzione di nuove strade, perennemente senza copertura finanziaria e Governi caduti, con una lunga sequenza di polemiche, comitati, progetti e progettisti e politici che vi voglio risparmiare, si giunse finalmente al 19 maggio del 1878, allorché, con un progetto di legge del Ministro dei Lavori Pubblici on. Baccarini, la ferrovia Novara - Varallo entrò finalmente in fase di attuazione. Da Novara a Grignasco il percorso non presentava grandi difficoltà, pianeggiante e senza importanti opere d'arte; da qui in poi, tra gallerie e ponti, varianti di progetto e immancabili nuove polemiche, l'opera infine giunse al capolinea non solo metaforicamente, di Varallo. E sin dalle prime luci della mattina dell'11 aprile del 1886 una enorme folla era in attesa che il treno inaugurale giungesse sotto la pensilina in ferro della nuovissima stazione. Erano le 11.20 del mattino e il cronista del Corriere Valsesiano così descrive l'avvenimento: "Arriva il treno. Tutti gli occhi convergono verso un punto solo, laggiù in fondo alla valle, lontano, lontano, ed un grido prorompe da mille petti. Laggiù è apparsa una colonna di fumo, che s'avanza e dietro la segue una striscia nera, che sembra non finire mai. E' il treno che trascorre veloce e maestoso come una biscia sterminata. Ma ecco, si sente un fischio, ed il treno scompare sotto la prima galleria; ne esce tosto, un altro fischio ed entra nella seconda. Arriva il treno! Un secolo ci sembrò quel breve attimo pieno di ansia e di commozione che impiegò il treno nel traversare la galleria, per riapparire svolgendosi con maestosa curva e presentarsi davanti alla stazione. Hurrà!"
Mi sia consentito esprimere un doveroso, sentito ringraziamento va a tutti quegli amministratori pubblici, locali, regionali, nazionali, in carica e/o decaduti che hanno contribuito al raggiungimento di questa situazione. Per quello che mi riguarda assicuro che me ne ricorderò bene alle prossime elezioni.

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