Ed eccoci al marchio che per noi italiani è di gran lunga il più importante:
RIVAROSSI
Per tutti coloro che In Italia erano bambini quando la televisione era ancora in bianco e nero, Rivarossi e fermodellismo sono stati sinonimi, quantomeno per chi apparteneva alla metà del cielo funzionante a corrente continua. Per gli altri, quelli a corrente alternata, c’era la Marklin, più nobile ma aliena. Per quelli, infine, che si accontentavano dei “trenini elettrici”, c’era la Lima. E poi, praticamente, nient’altro. Tutto ha inizio quando l’ing. Alessandro Rossi, nato a Schio nel 1921, si mette in società con il rag. Antonio Riva e nel 1945 rileva una fabbrica di commutatori elettrici, con l’intento di convertirne la produzione in giocattoli scientifici e modelli ferroviari. Già: modelli, perché con riproduzioni approssimative come quelle che all’epoca vanno ancora per la maggiore, Rossi non vuole avere niente a che fare. Siamo però nell’immediato dopoguerra, e i tempi sono grami. Onde garantirsi i mezzi finanziari adeguati all’impresa, per qualche anno l’azienda fabbrica e vende una imitazione delle famose costruzioni metalliche inglesi Meccano e si dedica alla commercializzazione in Italia dei prodotti della britannica Lines Bros. (macchinine a pedali, bambole, peluches e altri giocattoli). All’inizio, l’attività si svolge in una piccola officina ad Albese, ma già nel 1947 viene inaugurato lo stabilimento di Sagnino, sempre nel comune di Como, che sarà la sede dell’azienda fino al 2000. Riva esce ben presto dalla società, tuttavia il suo nome rimane indissolubilmente legato, nel marchio dell’azienda, a quello dell’altro fondatore. Il primo modello ferroviario marcato Rivarossi vede la luce nel 1946: è una automotrice elettrica delle Ferrovie Nord Milano, molto semplificata nei particolari, e funziona in corrente continua. Dal 1947 al 1955 saranno però disponibili anche binari e rotabili Rivarossi per il sistema a tre rotaie in corrente alternata (quello ancor oggi adottato dalla Marklin, con un conduttore di corrente centrale e i due binari a fare da ritorno al trasformatore). L’impiego della corrente continua, il binario finalmente a due rotaie e soprattutto l'uso pionieristico di una materia plastica come la bakelite, al fine di ottenere riproduzioni molto dettagliate, sono i punti di forza della fabbrica comasca, in un periodo in cui molti altri costruttori adottano ancora il lamierino. Lo scartamento dei primi modelli Rivarossi è l’H0 (16,5 mm) ma la scala è quella inglese, inventata da Frank Hornby (il padre del Meccano): la Dublo, ovvero 00, 1/76. Questo perché il più corretto rapporto 1/87 non consentirebbe di inserire nei modelli i non abbastanza piccoli motorini elettrici allora disponibili. Come compromesso, si adotta un 1/80 che rimarrà costante (e sovrabbondante) fino al 1986, quando vede la luce la E321, primo Rivarossi in esatta scala 1/87, e gradualmente l’intera produzione viene uniformata su tale rapporto. Non che la neonata azienda comasca sia per questo da biasimare: ai tempi eroici del modellismo ferroviario, le riproduzioni in scala esatta praticamente non esistono; anche la blasonata Marklin, che all’epoca sforna trenini già da una settantina d’anni, nel secondo dopoguerra costruisce rotabili alquanto fuori misura, a partire dal suo famoso Coccodrillo CCS 800, che costa un patrimonio, ma è in scala 1/80, proprio come i primi Rivarossi. Il passaggio dal treno giocattolo alla riproduzione modellistica è lungo e complesso e passa attraverso diverse fasi, anche di ordine “istituzionale”. Lo stesso Alessandro Rossi, diventato consulente tecnico del Morop (la federazione europea delle associazioni dei modellisti ferroviari e degli amici delle ferrovie) promuoverà la redazione delle norme tecniche unificatrici europee (NEM), ispirandosi a quelle statunitensi emanate dalla NMRA (National Electrical Manufacturers Representatives Association) che già erano seguite per la produzione della sua ditta destinata a quel mercato. Insieme al suo primo modello, l'automotrice elettrica delle “Varesine” E2002 FNM, la Rivarossi presenta nel 1946 il proprio sistema di binari, esposto alla Fiera Campionaria di Milano in un plastico ferroviario. Un anno dopo, arriva il modello di un'automotrice diesel delle FS (non ancora identificata come Aln 772), ancora più vicina al concetto del giocattolo di lusso che non di modello vero e proprio. Sempre nel ’47 vede la luce la stupenda Pacific italiana Gr. 691 FS, interamente in metallo, che tuttavia non viene fabbricata direttamente dalla Rivarossi bensì dalla Cos. Mo., una ditta artigiana di Milano. Questa locomotiva sarà commercializzata dalla Rivarossi fino al 1952. La Gr. 691 progettata e costruita dall’azienda di Como entrerà invece in produzione solo nel 1962. Fin dagli inizi dell’attività, la Rivarossi internazionalizza la produzione affiancando all'assortimento per il mercato italiano quello per il mercato statunitense, che dopo un’intesa con il colosso d’oltreoceano Lionel presto naufragata, troverà notevoli sbocchi grazie agli accordi stretti con la Athearn e, successivamente, con la Ahm (Associated Hobby Manufactures). Per il mercato americano, oltre alla minuscola 0-4-0T Dockside tipo C16 Baltimore & Ohio prodotta dal 1948 al 1977 in decine di migliaia di unità, ad una Atlantic e una Consolidation, Rivarossi realizza nel 1948 la fantastica Classe A Hiawatha della Milwaukee Road, nonché una serie di diesel C-Liner Faibanks-Morse. Queste ultime verranno prodotte dal 1952 al 1971 nelle livree Southern Pacific, Union Pacific, New Haven, Pennsylvania, Santa Fe, Western Pacific, Illinois Central, Chicago North Western, Monon Route, Texas Pacific, Pere Marquette, Minneapolis & St. Louis e Wabash. Proprio dalla Atlantic viene ricavata la prima locomotiva a vapore “italiana”, la L221, che resta comunque un prodotto di fantasia. A partire dai primi anni di vita, la Rivarossi offre molti prodotti in scatola di montaggio, a prezzi più bassi di quelli dei modelli già montati. Dal 1962 tale linea confluirà nella serie TrenHObby, avente una sua caratterizzazione d'immagine, che scomparirà solo negli anni Novanta. Negli anni ’50 Rivarossi introduce un nuovo motore con cuscinetti a sfere e abbandona la bakelite per adottare il polistirolo. Allo stesso periodo risale anche il pregevole impianto del filobus Minobus e l’inizio della commercializzazione di semafori ferroviari ad ala e fissi, nonché di fedeli riproduzioni di stazioni e fabbricati di servizio delle Fs. Toponimi dell’area intorno a Como, come Dubino, Pergine, Cosio-Traona o Castano Primo diventano in tal modo familiari per intere generazioni di appassionati. Nel 1954 comincia la pubblicazione della rivista bimestrale HO Rivarossi, dedicata alla promozione del modellismo ferroviario e alla divulgazione della storia e della tecnologia delle ferrovie reali. Unica, o quasi, pubblicazione in lingua italiana del settore, la rivista sparirà nel 1967, tra gli amari rimpianti degli appassionati, rimasti orfani degli articoli firmati Zeta-Zeta, stilati dall'enciclopedico e indimenticato ingegner Bruno Bonazzelli,. Sempre nel 1954, la Rivarossi mette sul mercato il suo primo prodotto destinato ad un vasto pubblico: la Gr. 835 Fs, una piccola locotender italiana (con una completa riproduzione del biellismo Walschaert) che all’epoca lavora ancora in tutti gli scali merci della penisola e nel meridione traina brevi convogli di carri e carrozze leggeri. I ragazzi (che costituiscono il target di riferimento della Rivarossi) sono messi in grado di giocare con una locomotiva che possono vedere nelle stazioni delle loro città. I marklinisti italiani invece dovranno aspettare il 1960 per avere la loro E 424 Fs (che però - piccola rivincita - è in corretta scala 1/87). Campanilismo a parte, va riconosciuto alla Rivarossi di quegli anni il grande merito di aver diffuso in Italia la passione per il modellismo ferroviario. I prodotti confezionati nelle scatole stupendamente illustrate da Amleto Dalla Costa (autore anche delle immagini dei cataloghi e della pubblicità, nonché della grafica della rivista H0 Rivarossi) seducono non solo i bambini, ma anche gli adulti, che in molti casi diventano collezionisti, aprendo nuovi sbocchi alla produzione Rivarossi, in campo fermodellistico e non solo. Nel 1955 l’azienda di Como diventa infatti coprotagonista di uno dei rari (per l’epoca) esempi italiani di accordi promozionali fra fabbricanti di giocattoli e case produttrici di automobili. La Fiat affida infatti alla Rivarossi i segretissimi disegni originali dalla 600, perché appronti il modellino in scala 1/14, oggi ricercatissimo, che sarà presentato in contemporanea con la vettura al Salone dall’automobile di Torino. Tra i più significativi modelli ferroviari Rivarossi degli anni ’50 e ‘60 per il mercato italiano si possono ricordare il convoglio diesel TEE ALn 442 + ALn 448 (quello con la tromba!), le elettriche E.626 Fs (prodotta dal 1948 al 1955, con una ripresa "per collezionisti" nel 1959-1960), le varie versioni delle E 424 Fs, E 636 Fs, E 428 Fs ed E 444 Fs (introdotte rispettivamente nel 1952, 1958, 1960 e 1968), nonché le vaporiere Gr. 740 (1957), Gr. 625 (1959), Gr. 940 (1960) e Gr. 685 (1963) e l’automotrice ALn 668 (1964). Tutti modelli rimasti in produzione fino alla chiusura dell’azienda, senza interruzione ma con continui e spesso radicali miglioramenti. Nel 1961, in virtù di un accordo con la tedesca Trix, si schiudono alla Rivarossi i fiorenti mercati della Germania e della Svizzera, per i quali l’azienda di Como produrrà una vasta serie di modelli specifici, tra i quali le locomotive a vapore Gt 2x4/4, la Br 10 semicarenata, la Br 59 e la Br 77, nonché le elettriche E 17 ed E 18. L’interscambio fra Italia e Germania era stato avviato già dai primi anni Cinquanta, allorché la Rivarossi aveva acquisito la rappresentanza esclusiva per l'Italia di alcune delle più importanti ditte straniere produttrici di materiali e accessori per il modellismo ferroviario, come appunto le tedesche Preiser, Vollmer, Faller e Viking, oltre all’americana Revell. Nel 1963 la Rivarossi acquista la quota di Corrado Muratore, uno dei fondatori della Pocher, che a Torino produce modelli ferroviari di squisita qualità, fra cui la CC 7001 Sncf detentrice del record mondiale di velocità. Nel 1966, la Pocher – che già in passato ha realizzato numerosi modelli promozionali in scala 1/13 di vetture Fiat – lancia la sua prima riproduzione in scala 1/8, la Fiat 130 HP del 1907, impropriamente chiamata “F2” dalla sigla che campeggia sul radiatore. Due anni più tardi, Arnaldo Pocher cede il marchio alla Rivarossi e lascia la ditta da lui fondata. Poco dopo, la produzione di modelli ferroviari viene a cessare, ma il marchio Pocher rimane ad identificare la serie delle auto in scala 1/8, che si arricchisce via via di esemplari che fanno epoca, come l'Alfa Romeo 8C 2300 Monza, la Rolls Royce Phantom II Sedanca Coupé, la Mercedes Benz 500 K/AK cabriolet, la Rolls Royce Torpedo Phantom ll del Maragià di Rajcot e la Bugatti 50T. Ma il core business della Rivarossi resta il settore ferroviario, e l’azienda compie un ulteriore salto di qualità riproducendo in scala H0 le gigantesche locomotive articolate americane degli anni Quaranta: nel 1964 viene lanciata la Mallet Y6b 2-8-8-2 della Norfolk & Western, nel 1966 è la volta della Cab Forward AC11 4-8-8-2 della Southern Pacific, seguita nel 1967 dalla fedele riproduzione della locomotiva più grande del mondo, la Big Boy della Union Pacific. La serie di questi spettacolari modelli, venduti (soprattutto negli Usa) in centinaia di migliaia di esemplari, proseguirà nel 1975 con la Challenger 4-6-6-4 Union Pacific e nel 1976 con la Mallet EL5 2-8-8-0 della Baltimore & Ohio, per concludersi nel 2002 con la H-8 Allegheny 2-6-6-2 della Chesapeake & Ohio, considerata il canto del cigno della Rivarossi. Nel 1968, Rivarossi inizia la produzione dei modelli ferroviari in scala N (1/160), dapprima in collaborazione con l'americana Atlas, poi autonomamente fino al 1993, quindi insieme alla Lima e dal 1996 anche con la tedesca Arnold Rapido. Nel 1969 la gamma si espande ulteriormente alla scala 0 (1/45), ma senza incontrare grande successo, tanto che il settore verrà abbandonato nel 1988. Unica vestigia importante, la straordinaria Pacific PLM 231G del 1978, Dopo avere ricevuto per tre volte il premio Pinocchio d'oro (nel 1962 per la serie di modelli in scatola di montaggio TrenHObby, nel 1963 per il Sistema Tramway e nel 1964 per la serie Modello HO Oro di modelli verniciati a imitazione dell'ottone, all'inizio degli anni Settanta la Rivarossi conta 300 dipendenti e 600 collaboratori esterni ed ha ormai una forte e radicata presenza nei principali mercati mondiali. In questo periodo la dirigenza valuta la possibilità di delocalizzare la produzione a Hong Kong, ma il progetto viene cancellato a causa della bassa qualità riscontrata in alcuni lotti di provini e per non ridurre eccessivamente i livelli di occupazione in Italia. Negli anni Settanta la Rivarossi continua a sfornare pregevoli modelli in scala H0, tra i quali le italiane Gr. 746 Fs (dal 1977), E 656 Fs (1975) e D 341 Fiat Fs (1975); le americane Heavy Pacific Southern (1972), GG1 Penn (1979) e la maggior parte delle moltissime versioni della diesel EMD E-8; le tedesche Br 39 Db (1975) e Mallet Br 98 (1977), la francese 2-3-1 Pacific “Chapelon” Nord (1970) e la britannica 4-6-0 Royal Scot Lms. Come si vede, con una netta prevalenza di macchine straniere. In questo periodo l’azienda di Como soffre i contraccolpi del fallimento del proprio distributore americano Ahm e subisce la concorrenza della Lima, i cui prodotti sono nel frattempo notevolmente cresciuti di qualità. Le difficoltà aumentano ulteriormente negli anni Ottanta, quando i modelli Rivarossi, rimasti fedeli alla scala 1/80, risultano poco competitivi rispetto a quelli in esatta scala 1/87 immessi sul mercato da nuovi produttori come l’austriaca Roco. Ma è soprattutto il nuovo orientamento del pubblico giovanile, indirizzato verso altri tipi di giocattoli e sempre meno interessato alle ferrovie, a mettere in crisi l’azienda, che nel 1981 è costretta a chiedere l'amministrazione controllata al Tribunale di Como. Nel 1984, Alessandro Rossi lascia le cariche sociali e il ricorso alla procedura di concordato preventivo porta alla nascita di una nuova società (Rivarossi Nuova Gestione) presieduta da Giorgio Dalla Costa - un industriale proveniente dal settore farmaceutico, fratello di Amleto, lo storico disegnatore delle immagini delle confezioni - affiancato dal giovane ingegnere Alessandro Rossi junior (cugino del fondatore) quale amministratore delegato e direttore tecnico (dal 1984 al 1990), e poi vicepresidente (dal 1991 al 2000). Sotto il nuovo management, la Rivarossi abbandona progressivamente le linee destinate ai principianti (come le confezioni d'avvio) e concentra l’attività su prodotti di fascia alta, destinati a un mercato via via più esigente, nel quale vanno scomparendo i “plasticisti” e si diffonde il collezionismo statico. Per adeguarsi a queste esigenze vengono introdotti modelli sempre più accurati ed in esatta scala 1/87, come la E.633 Fs e la locomotiva e le carrozze del famoso treno Ciwl degli anni Trenta Le fleche d’or (la freccia d’oro). Questi modelli incontrano un notevole successo e la Rivarossi, che nel 1990 ha cambiato nuovamente l'assetto societario (con la finanziaria milanese Penteco divenuta azionista di maggioranza) si lancia in una serie di acquisizioni di ditte concorrenti: nel 1992 viene assorbita la storica rivale interna Lima, cui seguono nel 1995 la tedesca Arnold, inventrice della scala N, e nel 1996 la francese Jouef, che porta in dote una ricca serie di rotabili ispirati a prototipi d’oltralpe. Ritiratisi Dalla Costa e gli altri dirigenti del primo periodo "post-Rossi", nel 2000 si ha una nuova rivoluzione societaria: con una curiosa alchimia finanziaria viene costituita la Lima SpA con sede a Brescia, e la Rivarossi diventa ora una divisione della ditta che otto anni prima aveva acquisito. Vengono chiusi lo storico stabilimento di Como (in località Sagnino) e quelli di Champagnole (Jouef) e Muhlhausen (Arnold), e la produzione viene concentrata nello stabilimento Lima a Isola Vicentina. La nuova proprietà appare assai più interessata all’aspetto finanziario che a quello produttivo, così che dopo alcuni anni di convulse vicissitudini gestionali e nonostante un tentativo di salvataggio in extremis da parte di una cordata d'imprenditori vicentini, sostenuta anche da ex dirigenti e dipendenti della Lima e della Rivarossi, nel settembre 2004 il gruppo cessa ogni attività. I marchi Rivarossi, Lima, Jouef, Arnold e Pocher, nonché i preziosi stampi (anche se forse non proprio tutti) passano quindi, per soli otto milioni di euro, alla britannica Hornby, che taglia drasticamente l’assortimento e delocalizza in Cina la restante produzione, basata in larga prevalenza su stampi Lima. Tanto che si può dire che delle tecnologie classiche proprie di Rivarossi, oggi non sopravviva quasi nulla. Anche le memorie stesse della produzione Rivarossi subiscono duri colpi: la vastissima raccolta di modelli ferroviari ospitata nella vecchia sede di Como e già in precedenza trasferita a Vicenza, prende la via dell’Inghilterra, dove è oggi solo parzialmente esposta al pubblico presso la sede della Hornby. Gli archivi vanno in gran parte dispersi o distrutti. Nella primavera del 2008, lo storico stabilimento di Sagnino, in via Pio XI (già via della Conciliazione), viene demolito per fare spazio a nuovi edifici residenziali e locali commerciali. Il 3 marzo 2013, nel piazzale prospiciente l'area dove sorgeva lo stabilimento, è stata inaugurata una targa dedicata ad Alessandro Rossi (deceduto a Cortina d'Ampezzo nel 2010) e all’azienda da lui creata. “L'ingloriosa conclusione della vicenda della nostra compagnia di bandiera nel settore fermodellistico – commentava nel 2004 un editoriale della rivista I Treni - non è che la riproduzione in scala ridotta (guarda caso) di quanto ormai da anni avviene nei grandi settori dell'economia: nell'informatica, nella chimica, nel metalmeccanico, nel tessile e nell'alimentare, dove la maggioranza dei marchi che una volta erano un vanto dell'Italia sono da tempo tristemente emigrati all'estero. Si ripete oggi - sempre facendo le debite proporzioni - quanto avvenne quando è sparito un nome come Olivetti: così come allora in tanti hanno pianto sulla memoria di una Lettera 22, ora sono assai di più quelli che si sciolgono in peana sul ricordo dei giocattoli della propria infanzia perduta, oppure lanciano strali contro la perfida Albione e perfino sugli inconsapevoli cinesi, che non quelli che si mordono le mani al pensiero dell'abisso in cui è stata lasciata cadere l'eredità di due geniali capitani d’industria come Adriano Olivetti e Alessandro Rossi”.
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