Quando ero un bambino, negli anni '90, pensavo che il fenomeno dei graffiti fosse relegato a certe realtà urbane americane o affogato sottoterra coi metrò.
Poi, un bel giorno, intorno al 1997, cominciai a vedere le prime avvisaglie anche qui in Romagna: prima una carrozza, poi due, poi cinque, dieci, interi treni e locomotive imbrattate da disegni incomprensibili e firme altrettanto criptiche. Pur avendo nove anni compresi che l'azienda di cui un giorno avrei voluto fare parte si era arresa in modo così pietoso davanti a questo sparuto gruppetto di vandali, e una situazione del genere avrebbe messo a dura prova la fiducia dell'utente riguardo al trasporto ferroviario. Mi dissi anche che sicuramente l'azienda avrebbe fatto qualcosa, avrebbe intrapreso la lotta, confidando nelle pellicole antigraffiti di cui tanto parlavano alla tele.
Dopo 11 anni siamo ancora qua a parlarne. Ora che ho vent'anni la mia fiducia è arrivata ai limiti più bassi anche a causa dei graffiti, che ora, grazie all'indifferenza dei capoccioni, sono diventati migliaia e quel gruppetto di vandali è divenuto un esercito di "Viet Cong" con la bomboletta, i quali, proprio come i veri, compiono blitz vandalici per poi dileguarsi senza tracce.
E' stata l'indifferenza a generare questo fenomeno.
Indifferenza degli amministratori che non curano l'immagine.
Indifferenza della gente, che notoriamente odia il treno e non lo considera degno di essere difeso al pari di ogni altro mezzo di trasporto.
In sostanza, l'indifferenza, il voltarsi dall'altra parte, ha di fatto dato carta bianca a qualunque tipo di vilipendio alla cosa pubblica, anche non legata al mondo ferroviario, perché di fatto l'indifferenza implica inconsciamente un consenso a quello che viene fatto. Esattamente come la mafia.
Dalle colpe non si traggono indietro nemmeno certe amministrazioni pubbliche "alternative" le quali, anziché reprimere il fenomeno, preferiscono scendere a patti con i vandali, magari cedendo proprio i muri delle stazioni di cui hanno ricevuto l'incarico di affidamento da RFI, come ad esempio Castel San Pietro Terme e Incisa Valdarno.
Questo particolare è ancora più aberrante: il vandalismo, non più visto come reato alla cosa pubblica, viene addirittura legalizzato, autorizzato, strumentalizzato a fini elettorali, imposto come modello a tutti, volenti o nolenti, venendo meno al ruolo istituzionale per cui sono stati eletti, ovvero la difesa dei beni fruibili da tutti e la NON strumentalizzazione a fini personali. Come ci si fa a fidare di queste persone, che credono di trovarsi di fronte a dei capolavori d'arte?
In altri paesi europei tutte le cose elencate sopra non solo non sarebbero possibili, ma nemmeno concepibili. Altrove la difesa della cosa pubblica è radicata nelle persone, la gente si arrabbia se gli tocchi il trasporto pubblico, e le amministrazioni stanno molto attente affinché nessuno ne deturpi l'immagine.
Un graffitaro qualunque laggiù non potrebbe neanche esistere, perché il suo gesto non sarebbe condiviso da nessuno e, qualora fosse beccato, sarebbe comunque isolato dalla società e obbligato a fare lavori utili per essa.
C'è poi un'ultima considerazione da fare: writers e graffitari non sono la stessa cosa.
Il graffitaro agisce di nascosto e il suo scopo è solo quello di deturpare il bene pubblico, in pratica è un vandalo.
Il writer, invece, agisce alla luce del sole, usa oggetti di sua proprietà per i graffiti, spesso possiede anche uno studio dove esegue i suoi lavori e organizza mostre.
Ascoltando diverse interviste televisive a veri writers, essi sono stati tutti concordi nel condannare gli atti di vandalismo dei graffitari, affermando che l'arte va manifestata per vie legali e non va imposta a nessuno.
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