Constava, la galleria, d’un lungo rettilineo scavato nella roccia viva. A bordo del locotrattore, che procedeva cautamente nelle viscere del terreno, due operaj dell’impresa; sul vagoncino al traino, il Duce, il podestà ed il Pavanati. Il fanale ad acetilene projettava una luce spettrale e trepidante sui conci che rivestivan le pareti del traforo. Ad un tratto, mentre già s’avvistava la porzione di roccia che neppure le trivelle del Grattoni avevan potuto violare, s’udì da dietro le spalle una fortissima esplosione. L’onda d’urto che ne conseguì sbalzò il locomotore dalle rotaje, s’alzò un gran polverone e la fiamma dell’acetilene vacillò sin quasi a smorzarsi: ma, per somma fortuna, si riebbe. Il Duce rincuorò gli accompagnatori:
- Tranquilli, camerati, ci son qui io! Ghe pensi mi, boja d’un mond leder!
Ma dalle viscere della galleria s’udì un ghigno lugubre e torvo. Poscia comparve un losco figuro che reggeva una lanterna a petrolio: sordido, curvo, bieco, magro, allampanato, colla pallida ghirba per metà celata da una berretta da operajo unta e bisunta di sugna dalla quale spuntavano come foglie di spinaci ciocche ancor più unte di capelli luridi e incolti e che, con voce roca e minacciosa, profferì:
- Sorpreso, veh? Son qui per fermarti, prima che combini chissà che guaj, magari per un ventennio intero. Il mio nome è Mengozzi Arnaldo inteso “Bàkunin”, di Mengozzi Attilio e Fiorazzi Filomena, nato a Forlì, e di fede anarchica. Mai sentito il mio nome? Ma bando alle ciance: morrò, ma morrai anche tu, boja d’un mond leder! Moja Sansone, con tutti i filistei! Evviva il socialismo, evviva Turati e la libertà!
Ma il lestofante non aveva fatto i conti col Duce.
- Pavanati, passami il manganello n. 121, quello minerario, coll’impugnatura di guttaperca ed il nerbo incrostato di carbone del Sulcis!
Ed, in men che non si dica …. PIM, PUM, PAM, la sinfonia soave delle manganellate inferte sonoramente sul cranio villoso del Mengozzi risuonò giojosa nella galleria, amplificata vieppiù dal rimbombo e dall’eco. Il Pavanati legò l’anarchico come un salame e tutti tiraron un sospiro di sollievo. Ma …
- Sorbole, Eccellenza! E mo’ chi ci tira fuori di questa topaja, corpo d’una trivella?
Ma neppure il Podestà di Genova, neppure il Pavanati stesso avevan fatto i conti col Duce! Ghermì, spumante di rabbia, un piccone ed un badile ch’erano a bordo del Decauville. Strappò dal petto la camicia nera, sputò sul palmo delle mani e dagli, prese a sferrare colpi veementi ma regolari e costanti sulla parete di roccia. Non trascorse neppure un mezz’ora quando s’aprì nella roccia un forellino, che a poco a poco s’allargò divenendo un pertugio, un forame, un varco, una breccia, un tutt’uno colla galleria!
Splendeva un sole radioso e trionfante quando il tunnel sbucò sul piazzale della stazione Brignole. - Posate le rotaje, operaj - ordinò il Duce, e poscia, ai comandi del piccolo locomotore, fresco e riposato come se non avesse fatto sforzo alcuno, sbucò dalla galleria mentre la folla dgli astanti ch’attendevano un direttissimo od un rapido per chissà dove, rapita ed estasiata, intonava all’unisono un altissimo grido festoso:
- DU-CE! DU-CE! DU-CE! DU-CE! DU-CE! DU-CE! DU-CE! DU-CE!
E, con questo, mi accommiato. Voi non ci crederete, camerati carissimi, ma al ricordo di quella fulgida impresa di Sua Eccellenza il Duce mi prende un groppo alla gola da non riuscire più a scrivere!
M.
P.S.: Peccato ch’il Mengozzi, scioltosi dalle corde, profittò del caos per darsela vigliaccamente a gambe …
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