Ciao,
un caro saluto ed un abbraccio affettuoso a tutti, "vecchi" e nuovi.
Anche da 3.000 km di distanza, vi seguo sempre.
Vi mando un mio pensiero, forse qualcuno ricorderà queste righe.
La foto non riesco ad allegarla, accidenti ...
O qualcuno mi spiega come si fa (grazie), oppure la trovate nella pagina iniziale del mio sito, anche se è un bel po' di tempo che non lo aggiorno.
Ciao ancora.
Armando
www.armandoferracuti.it
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LA FERROVIA INTERIORE
Molti critici e storici della Musica hanno scritto che, nelle opere tarde ed ultime dei grandi musicisti, è riscontrabile una progressiva "asciugatura" del tessuto musicale: mentre cioè i concetti e la forma maturano e diventano più ricchi, parallelamente il linguaggio che li esprime diviene più scarno, essenziale, con "sempre meno note".
Ci sono tante opere, tra quelle che ho ascoltato ed ascolto, che possono suffragare questa affermazione: penso al Quartetto op. 131 di Beethoven, penso agli ultimi Cinque Lieder di Richard Strauss, penso all' Aria della Regina della Notte nel Flauto Magico di Mozart.
Vado oltre, e dico che anche per molti esecutori mi sentirei di applicare lo stesso ragionamento: basta confrontare la prima e la terza Integrale delle Sinfonie di Beethoven di Karaian, basta confrontare l' esecuzione del 1955 e quella del 1981 delle Variazioni Goldberg di Bach da parte di Glenn Gould.
Sempre meno note.
Sempre più il tendere, senza sforzo e senza premeditazione, a cogliere e trasmettere l' essenziale, l' indispensabile, procedendo "per via di levare", come suggeriva Michael Schneider in "Glenn Gould-Piano Solo", e facendo emergere, a scapito di quelle estreme, alte e basse, le voci mediane, le "voci interiori".
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Ho guardato i miei primi treni nel 1955, dall' orto di casa, quando abitavo ad Este: da lì potevo osservare i convogli che partivano dalla stazione e si avviavano a Monselice e quelli che, venendo da Monselice, rallentavano per entrare in stazione. Qualche metro più in là, un piccolo sottovia lasciava passare la strada che da Este si avviava a Sant' Elena, la mia prima stazione.
Sono diventato grande, da quella ferrovia secondaria ho percorso linee sempre più importanti, da quella piccola stazione sono arrivato alle grandi stazioni, ai grandi piazzali, ai grandi scali: eppure talvolta mi sembrava che ci fossero "troppe note", troppi binari, troppa catenaria, troppi treni !
E poi, sempre più spazio tra le case, gli uomini ed il treno: nella campagna veneta la "vacca mora", cioè la locomotiva della Veneta, passava in mezzo ai campi e le case ed era una presenza familiare; adesso vedevo correre i treni sulle direttissime, chiusi nel loro bunker tecnologico...
Così, mi è piaciuto pian piano tornare sulle linee secondarie, un po' di massicciata, il binario, talvolta la staccionata; mi é piaciuto percorrere a piedi linee dismesse o smantellate, riflettendo con stupore sul fatto che lì, in quei due o tre metri, passava il treno.
Ho continuato "per via di levare": i viadotti di kilometri, le barriere antirumore, le catenarie di ogni tipo, gli scali intermodali: quello che restava era ancora "ferrovia", come quello che restava a Beethoven era ancora "musica"; ho tolto i grandi piazzali, le grandi rotonde dei depositi, le grandi stazioni; poi, ho tolto anche i treni: ma ancora mi restava la ferrovia.
Alla fine, ho tolto anche i binari.
Ed oggi, guardando sotto uno spuntone di roccia le tracce di antichi passaggi, mi sembra di ascoltare la "musica interiore"...